Un laboratorio valorizza la curiosità e aiuta i bambini e le bambine a sviluppare la ricerca.
Se partiamo da questo concetto di che cos’è un laboratorio, anche se sintetico ma ben chiaro, riusiamo a capire e a discernere tutte quelle attività che di laboratoriale non hanno niente ma che superficialmente vengono chiamate così.
L’attività laboratoriale non è fine a sé stessa ma è fortemente strutturata da chi progetta l’incontro perché sceglie un percorso di apprendimento e dà risalto alle varie piste percorribili e alla varietà prospettica con cui i bambini possono vedere la realtà.
Jerome Bruner, psicologo statunitense, nel 1976 parlò per primo di scaffolding.
Scaffolding è l’impalcatura che si prepara per il contesto educativo, dove nulla è lasciato al caso ma si dà comunque spazio ai bambini e alle bambine e alle loro metacongizioni (consapevolezza da parte del bambino delle proprie capacità e dei propri processi cognitivi).
Nel progettare un laboratorio si tiene in considerazione il modo naturale di apprendere dei bambini come l’osservare, il provare, l’immaginare, il discutere, il creare, il costruire…
Il laboratorio è un’occasione per mettere insieme le informazioni, acquisite precedentemente e contestualmente all’incontro e connetterle.
Così l’attività laboratoriale non si riduce al solo aspetto manuale, del fare, ma diventa anche un impegno nel domandare, nel domandarsi e trovare soluzione di problemi (problem solving).
John Dewey, pedagogista e filosofo statunitense, sosteneva che l’obiettivo del laboratorio non è una preparazione professionale ma
“lo sviluppo della capacità cognitiva e dell’intelligenza sociale”. Immaginiamo infatti un’attività di gruppo dove i bambini e le bambine devono collaborare e condividere -idea, pensieri, spazi e materiali- , il contesto laboratoriale diventa così una piccola comunità.
Infine, accenno al discorso creatività, sul quale tornerò presto con un altro post.
Spesso nelle presentazioni dei laboratori si parla di creatività -abusando del termine-, interpretando la creatività come qualcosa di libero e senza regole. Ma anche la creatività ha un suo metodo.
Munari, in Fantasia, diceva:
“Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata (come in molti adulti) noi dobbiamo quindi fare in modo che il bambino memorizzi più dati possibili, nei limiti delle sue possibilità, per permettergli di fare più relazioni possibili, per permettergli di risolvere i propri problemi ogni volta che si presentano.”
Torniamo così al discorso dell’impalcatura -dello scaffolding - di un laboratorio, di cui ho parlato sopra.
Per concludere questa riflessione, un conto sono i laboratori, pensati e costruiti, un conto sono le attività di intrattenimento.
In un contesto c’è un’elaborazione, nell’altro c’è un passatempo.
Nel contesto dell’elaborazione, il prodotto realizzato dai bambini nella parte pratica -accompagnata precedentemente da una dialogica e “teorica” – sarà un elaborato di un esperienza, nell’altro caso invece sarà un lavoretto.
E sa ad un'occhio adulto l'elaborato del bambino è insignificante, non vuol dire che dietro non ci sia stato un percorso di elaborazione.
Nella foto di copertina ho scelto un’immagine che probabilmente ad uno sguardo veloce può non voler dire nulla, sembra un pasticcio di colori. In realtà l’impalcatura del laboratorio era sostenuta dal discorso sugli scarabocchi preistorici rinvenuti nelle caverne di Rouffignac (Francia).
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